OPINIONE

Autoriciclaggio ed evasione: tentativi di coordinamento

I motivi di allarme sociale cui si collega il reato di riciclaggio sono presenti anche in quello di autoriciclaggio (disciplinato dal nuovo art. 648-ter.1 c.p. ) che però occorre distinguere dai tentativi di spendere per fini personali i proventi del reato, senza scoprirsi come autore di quest’ultimo.

ACCERTAMENTO

Nuovo reato di autoriciclaggio

Dopo un travagliato iter legislativo , è approdata nella G.U. n. 292 del 17 dicembre 2014 la L. 15 dicembre 2014, n. 186 la quale, con l’art. 3, introduce nel Codice penale, con decorrenza 1° gennaio 2015, il nuovo art. 648-ter1 che sanziona il reato di « autoriciclaggio» . Di seguito si analizzeranno il concetto e l’evoluzione normativa del reato di riciclaggio e l’ambito di applicazione della nuova norma che, appena emanata, già presenta profili di criticità .

Autoriciclaggio e responsabilità sociale ex D.Lgs. 231/2001

Il nuovo reato di autoriciclaggio è stato introdotto nel contesto della cd. « collaborazione volontaria » per il rientro dei capitali detenuti all’estero. È necessario individuare l’ interesse giuridicamente protetto dalla norma penale per distinguere il reato presupposto dal fatto successivo del reimpiego del suo profitto . Il reato è perseguibile anche quando il reato presupposto è prescritto e anche se manca la condizione di procedibilità per il reato presupposto. Anche per il reato di autoriciclaggio è stata estesa la responsabilità amministrativa delle società e degli enti . In tema di reati tributari, se il risparmio di imposta ottenuto è semplicemente utilizzato per le esigenze proprie dell’impresa (es.: pagamento dipendenti o fornitori) non è possibile configurare il reato.

Voluntary disclosure: le Entrate chiariscono la procedura

La C.M. 13 marzo 2015, n. 10/E emessa dall’Agenzia delle Entrate affronta alcuni degli aspetti essenziali della procedura della voluntary disclosure , dalla modalità di accesso alle cause ostative e di inammissibilità fino all’ambito temporale ed alla disciplina sanzionatoria, fornendo i primi importanti chiarimenti in merito.

Autotutela: disciplina e procedimento

L’ autotutela tributaria si manifesta con un provvedimento unilaterale dell’ Amministrazione finanziaria diretto a rimuovere (totalmente o parzialmente) un proprio atto impositivo o sanzionatorio che – a un successivo riesame – risulti illegittimo o infondato , sempre che non ci sia stata soccombenza del contribuente in contenzioso per ragioni di merito e sussista un concreto interesse pubblico all’eliminazione dell’atto stesso. In presenza di tali presupposti, l’Amministrazione finanziaria può e deve annullarlo o revocarlo: in attuazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione sancite dall’art. 97 Cost. e ribadite dall’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente. La richiesta di annullamento (totale o parziale) in autotutela dell’atto illegittimo o infondato può essere formulata anche dal contribuente con una – motivata – istanza , che, però, non sospende i termini per la (eventuale) proposizione del ricorso, né per il pagamento di quanto dovuto sulla base dell’atto ritenuto illegittimo e infondato: in varie circostanze si rende, però, opportuna.

Perdite su crediti: apertura sui piani attestati

In merito alla deducibilità fiscale delle perdite su crediti , negli ultimi anni molte sono state le modifiche apportate all’ art. 101, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 , volte a facilitare la vita dei contribuenti in un momento economico particolare. Il Legislatore fiscale, infatti, al fine di evitare facili politiche di bilancio, è sempre stato rigido nel concedere la deducibilità delle perdite su crediti , chiedendo , sostanzialmente, la presenza di elementi certi e precisi , salvo che in alcuni specifici casi analiticamente indicati all’interno del medesimo art. 101, co. 5, D.P.R. 917/1986 [CFF5201] . La rigidità è stata di recente allentata, prevedendo, per alcune precise situazioni, la possibilità di dare rilevanza fiscale alle perdite su crediti, anche in assenza di ulteriori elementi certi e precisi che la normativa considera già insiti nelle fattispecie previste. Tra queste è stato inserito anche l’istituto della ristrutturazione del debito che, dopo molti anni, è stato finalmente equiparato, per quanto concerne l’argomento oggetto di trattazione, alle procedure concorsuali, omettendo, però, di menzionare il piano attestato.

RISCOSSIONE

Riduzione delle sanzioni:richiamo al principio del «favor rei»

Secondo il principio del favor rei , la successione di leggi nel tempo produce per il contribuente che ha posto in essere un comportamento irregolare degli effetti immediati nel caso in cui la legge posteriore sia più favorevole alla precedente . Tuttavia, tale principio trova un limite soltanto nell' intervenuto pagamento della sanzione . Pertanto, chi avesse già pagato il provvedimento sanzionatorio ricevuto, non potrà chiederne la restituzione in seguito al cambio normativo. In presenza di modifiche al regime sanzionatorio, così come previsto dalla legge delega 23/2014 , le disposizioni più favorevoli al contribuente dovrebbero trovare applicazione anche per le violazioni commesse in passato. Pertanto, sin da ora è opportuno tenere in considerazione l’art. 3, D.Lgs. 472/1997 e il principio del favor rei in esso contenuto, salvo diversa disposizione dei decreti delegati. È quindi necessario che, caso per caso, i difensori valutino l’opportunità di evitare che gli atti divengano definitivi, «in vista» dei futuri decreti delegati, specie se si tratta di importi elevati.

Emendabilità della dichiarazione dei redditi

Il problema che si intende affrontare in questa sede è quello della emendabilità degli errori commessi dal contribuente in sede dichiarativa . In particolare se la dichiarazione sia emendabile tout court ovvero se tale emendabilità sia limitata a talune fattispecie e quale sia il relativo termine decadenziale .

CONTENZIOSO

Reati societari: responsabilità estesa al componente del Cda

L a Suprema Corte, con la sentenza 9 ottobre 2014, n. 42257, ha confermato la responsabilità penale di una manager , componente del Cda di una società caduta in dissesto a causa della cattiva gestione del rappresentante legale , precisando che anche il componente del Cda risponde per falso in bilancio e bancarotta se non vigila sulla cattiva gestione dell’imprenditore che, esponendo crediti fittizi, ha portato al dissesto societario e quindi al fallimento della società.

Il «difficile» ruolo del liquidatore

Con il D.Lgs. 175/2014 il ruolo del liquidatore diventa sempre più importante e la responsabilità della mala gestio ricade sullo stesso . Con la novella in esame occorrerà che la contabilità redatta dal liquidatore sia chiara e lineare. I debiti tributari daranno forse dei grattacapi. Con la lente di ingrandimento l’ufficio guarderà se vi sono stati riparti o assegnazioni di beni ai soci. Il compenso del liquidatore sarà proporzionato al lavoro che svolgerà e alla responsabilità. Forse è finita l’era di liquidatori teste di legno, con stipendi invisibili. Ma la crisi attuale e la scarsità di lavoro non mancheranno di far svegliare in talune categorie di persone il desiderio o la necessità di accettare comunque il ruolo di liquidatore.

Rassegna Massimario

Motivi del ricorso in appello

La giurisprudenza tributaria di merito è stata finora molto attenta rispetto ai motivi specifici all’interno del ricorso in appello . I maggiori contrasti giurisprudenziali riguardano le censure rivolte dai Giudici nei confronti della mera riproposizione dei motivi già oggetto di introduzione in primo grado, nel presupposto in fatto e diritto differente dall’originaria deduzione e come tale ritenuto « domanda nuova » e infine nell’ omessa individuazione degli specifici motivi d’ appello in grado di integrare l’inammissbilità per estrema genericità della richiesta. La giurisprudenza di legittimità e di merito è orientata a sancire, per il precipuo carattere devolutivo pieno dell'appello quale mezzo di impugnazione, la validità della riproposizione delle argomentazioni già proposte a sostegno della validità dell'atto impugnato dal contribuente così come della produzione di nuovi documenti originariamente non prodotti in primo grado. Si sottolinea come questi nuovi orientamenti giurisprudenziali sull’argomento riflettono il convincimento diffuso che la domanda rivolta a Giudice in primo grado possa essere corroborata nel rispetto della norma .

Ricorso in appello: vizi ricorrenti sui motivi

L’art. 53, co. 1, D.Lgs. 546/1992 prevede che il ricorso in appello deve recare l'indicazione dei motivi specifici dell'impugnazione. La specificazione dei motivi di appello esige da parte dell’appellante argomentazioni in grado di contrastare la motivazione della sentenza impugnata e dedurre i rilievi mossi alla pronuncia di primo grado. I motivi d’appello devono correlarsi alle argomentazioni svolte nella decisione per incrinarne il suo fondamento logico-giuridico , pur avendo anche il valore di far riemergere in sede di gravame le questioni dibattute in primo grado. La richiesta di riforma della sentenza di primo grado avviene costringendo il giudice a pronunciarsi circa la rispondenza tra il richiesto ed il pronunciato in base all’art. 112 c.p.c. Anche se l’appello non è mezzo di impugnazione «rescindente», i motivi « specifici » servono a mettere in luce gli aspetti della decisione che paiono inaccettabili e ad indicare al giudice di secondo grado i profili che possono giustificarne l’accoglimento. Il contribuente non può inoltre introdurre nuovi motivi a sostegno della propria pretesa di annullamento totale o parziale dell'atto impositivo. La novità della domanda deve dunque essere apprezzata in relazione a ciascun elemento. Le eccezioni proponibili in grado d’appello sono distinguibili in eccezioni in senso proprio e improprio . Le prime integrano l'attività mediante cui il convenuto determina un allargamento della quaestio facti rendendo necessario che il giudice esamini altri fatti oltre quello costitutivo già affermato, mentre le eccezioni in senso improprio non ampliano il thema decidendum ma piuttosto argomentano circa le contestazioni dei fatti posti dall'attore a fondamento della sua domanda.

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