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OPINIONE

Sentenze esecutive: l'irresistibile fascino di non adempiere

Ancora una volta il contribuente ha dovuto adire il giudice dell'ottemperanza per ottenere il pagamento di quanto dovuto dall'A.d.E. a seguito di sentenza di condanna immediatamente esecutiva . L'Agenzia ha nuovamente tentato di resistere all'immediata esecutività del provvedimento giudiziale, prospettando la tesi dell' adempimento soggetto a condizione potestativa . La giurisprudenza di merito, nuovamente e questa volta grazie alla sentenza 28 settembre 2017, n. 3849 della Ctr della Lombardia, ha cassato la tesi dell'Amministrazione secondo la quale l' entrata in vigore dell' intera disciplina dell' immediata esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente , è postergata all'adozione del decreto regolamentare del Mef avente ad oggetto la garanzia eventualmente concedibile da parte del giudice per il pagamento , a favore del contribuente, di somme , diverse dalle spese di lite , superiori ad € 10.000 .

ACCERTAMENTO

Modello 231: non può essere sostituito dai modelli Iso e Deloitte

La Corte di Cassazione, Sez. VI, con la sentenza 13 settembre 2017, n. 41768 ha stabilito che il modello aziendale Iso 9001 ed il modello c.d. «Deloitte» non possono sostituire il modello previsto dal D.Lgs. 231/2001 , concludendo, pertanto, che le società coinvolte, sono prive di tale modello organizzativo e gestionale. Il modello aziendale Iso Uni En Iso 9001 non indica né gli illeciti da prevenire né il sistema sanzionatorio delle violazioni del modello, in quanto si riferisce al controllo della qualità del lavoro in relazione alle disposizioni normative sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro o degli interessi tutelati dai reati in materia ambientale . Parimenti, il modello Deloitte non presenta né il codice di comportamento , con le relative procedure, né il codice etico , né il sistema sanzionatorio . Per tali ragioni, La Corte ha stabilito che non vi sia equivalenza tra i predetti modelli e quelli di organizzazione e gestione previsti dal D.Lgs. 231/2001, confermando la responsabilità degli enti.

IVA

Rettifiche Iva e prova della buona fede

Sempre più frequentemente l’ Amministrazione finanziaria in sede di accertamento richiede agli operatori l’ Iva evasa dai propri clienti o fornitori : è il caso di acquisti di merci o servizi il cui fornitore poi si scopre non avere una struttura idonea per svolgere tale attività (pur avendo in qualche modo eseguito la fornitura), delle dichiarazioni di intento ricevute per beneficiare del regime di non imponibilità cui poi corrispondono da parte dei clienti evasioni di imposta; delle richieste di applicazione del regime del margine successivamente ritenute indebite perché prive dei requisiti. In tutte queste ipotesi, normalmente i verificatori , forte anche di una giurisprudenza comunitaria e di legittimità, addebitano l’ Iva detratta (nel caso di fatture soggettivamente inesistenti) ovvero l’Iva non versata in regime di non imponibilità (per le dichiarazioni di intento) o la maggiore Iva a seguito del disconoscimento del regime del margine, all’ operatore che spesso ha subito la frode o comunque era palesemente estraneo agli illeciti commessi da altri (fornitori o clienti). Sono interessati al fenomeno i settori più vari: sponsorizzazioni sportive di ogni genere e livello, commercializzazione dei prodotti più vari: elettronici e informatici, metalli non ferrosi, materie plastiche, legname, carni, ecc. A fronte di simili rettifiche diventa particolarmente complicato difendersi anche perché, normalmente, l’acquirente ha effettivamente ricevuto i beni o i servizi e li ha regolarmente pagati, o ancora ha regolarmente ricevuto le dichiarazioni di intento del proprio cliente che sono ineccepibili sotto un profilo formale, per cui mal comprende la contestazione del Fisco. In tale contesto svolge un ruolo determinante la « buona fede » del contribuente interessato, cioè a dire la prova (tutt’altro che agevole da fornire a posteriori) che non si poteva essere a conoscenza degli illeciti commessi dai fornitori / clienti . In sostanza non viene richiesta l’estraneità (che è di norma palese) dell’interessato alla frode ma l’impossibilità di intuire che altri commettevano un illecito

Cessione «spezzatino»: riqualificazione in cessione d'azienda

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 20 settembre 2017, n. 21767, ha riqualificato una cessione di singoli beni aziendali in cessione d' azienda , ai sensi dell'art. 20, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 [CFF2020] , in base agli « effetti economici » che la complessiva operazione è idonea a realizzare superando , in continuità con i precedenti arresti, il dettato normativo secondo cui invece la riqualificazione di un atto ai fini dell'imposta di registro è possibile esclusivamente in riferimento alla sua « intrinseca natura » ed ai suoi « effetti giuridici » .

Segnalazioni per operazioni sospette: conferme e novità

L’esigenza di contrastare le attività illecite di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo appare essere una delle comuni priorità dei Governi nazionali. Il recente intervento del Legislatore italiano, in attuazione della IV Direttiva antiriciclaggio dell’Unione europea, costituito dai DD.Lgs. 25 maggio 2017, nn. 90 e 92 introduce delle novità rilevanti per le segnalazioni per operazioni sospette . Sui soggetti obbligati agli adempimenti antiriciclaggio grava un dovere di collaborazione attiva che trova la sua massima espressione nell’obbligo di segnalare quelle operazioni che, per le loro caratteristiche, potrebbero configurare un’ipotesi di riciclaggio.

Omesso visto di conformità Omesso visto di conformità

L’art. 3, D.L. 24 aprile 2017, n. 50, conv. con modif. con L. 21 giugno 2017, n. 96, al fine di contrastare gli indebiti utilizzi in compensazione dei crediti d’imposta ha ridotto da € 15.000 ad € 5.000 l’importo al di sopra del quale i crediti Iva e quelli risultanti dalle dichiarazioni dei redditi possono essere utilizzati in compensazione solo attraverso l’apposizione del visto di conformità sulla dichiarazione da cui emergono, ovvero la sottoscrizione alternativa del soggetto incaricato della revisione legale. Qualora nella dichiarazione dei redditi inviata lo scorso 31 ottobre non fosse stato apposto il visto di conformità e il contribuente necessiti di compensare i crediti derivanti per un importo superiore ad € 5.000 è necessario ricorrere al ravvedimento operoso ex art. 13, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 [CFF9476] presentando una dichiarazione integrativa .

RISCOSSIONE

Compensazioni dei carichi affidati all'Agenzia Entrate - Riscossione con i crediti P.A.

Come previsto dal D.M. 9 agosto 2017, dal 21 agosto 2017 e fino al 31 dicembre 2017 è stata confermata la possibilità per imprese e professionisti di pagare i carichi affidati agli agenti della riscossione entro il 31 dicembre 2016 con crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti della pubblica Amministrazione per crediti commerciali, quali somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali. L' estinzione del debito a ruolo è condizionata alla verifica dell' esistenza e validità della certificazione da parte dell’ Ente creditore . In particolare, ai fini dell’ottenimento della certificazione, il credito è certo, liquido ed esigibile quando è riferito ad un’obbligazione perfezionata, correttamente registrata nelle scritture contabili dell’ente debitore e per la quale è scaduto il termine di pagamento. Inoltre, non debbono sussistere fattori impeditivi del pagamento, come l’esistenza di contenziosi, eccezioni di inadempimento o condizioni sospensive.

CONTENZIOSO

Sanzioni doganali

In materia doganale, gli Stati membri hanno la possibilità di determinare il sistema sanzionatorio che sembra loro più appropriato. Ciò, tuttavia, nel rispetto del diritto unionale nonchè dei suoi principi generali ed, in particolare , di quello di proporzionalità . Nell’ambito nazionale, norma di riferimento per quanto concerne le irregolarità commesse nella presentazione delle dichiarazioni doganali per merce destinata ad essere introdotta nel mercato nazionale è l’articolo 303, D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Tuld), nell’ambito del quale vengono individuate una ipotesi sanzionatoria di base nonché circostanze esimenti e altre aggravanti, concernenti qualità, quantità e valore delle merci. Al riguardo, va, altresì, evidenziato che, secondo l’Agenzia delle Dogane, ogni singolo «articolo» deve essere trattato come una dichiarazione a sé stante, per cui, nell’ipotesi di molteplicità di errori in diversi «articoli», alcuni a vantaggio del dichiarante, altri a suo svantaggio, ai fini dell’ applicazione delle sanzioni non può operarsi alcuna compensazione fra i maggiori diritti di confine relativi ad un singolo articolo e quelli minori concernenti un altro singolo articolo della stessa dichiarazione. In materia di sanzioni doganali, infine, è possibile ricorrere agli strumenti del ravvedimento operoso nonché della revisione dell’ accertamento su istanza di parte .

Costi e ricavi in dichiarazione in violazione della competenza

Non è reato imputare nella dichiarazione dei redditi costi e ricavi che violano i criteri di competenza anche se l’operazione può configurare un’ elusione di natura fiscale ; per effetto delle riforma contenuta nel D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, meglio conosciuta come la « riforma dei reati tributari » ; il caso in esame, come si desume anche dal testo del provvedimento impugnato, ha riguardato una condotta realizzata in violazione del principio di non corretta imputazione dei ricavi all’esercizio di competenza sulla base di contabilizzazioni cronologicamente anticipate a fini meramente elusivi e, quindi, il giudicato di condanna si è formato in ordine alla indicazione di ricavi conseguiti in un diverso anno di competenza fiscale e dichiarati non nell'anno nel quale i componenti positivi del reddito si erano materializzati ma in relazione ad un periodo fiscale diverso, con la conseguenza che la condanna è stata pronunciata sul presupposto che ciò non rispondesse a metodi costanti di impostazione contabile, condizione non più richiesta dalla fattispecie penale incriminatrice.

Giusta misura del contributo unificato tributario

Il contributo unificato è un tributo che va a sostituire la marca da bollo che un tempo veniva applicata al ricorso o all’appello. In caso di ricorso cumulativo , vale a dire contenente più soggetti della medesima parte, lo stesso va calcolato tenendo conto degli artt. 10 e 104 c.p.c. Se in un ricorso vi sono più domande, queste si sommano tra di loro.

Rassegna Massimario

Osservatorio di giurisprudenza e di prassi: istituti deflattivi

Gli istituti deflattivi del contenzioso tributario – che consentono, da un lato, al contribuente un abbattimento delle sanzioni ordinarie e allo Stato, dall’altro, di ridurre drasticamente tempi e costi di chiusura delle liti – sono strumenti che richiedono di essere conosciuti compiutamente al fine di permettere al contribuente di valutarne la convenienza d’ utilizzo nel caso concreto.

Scelte di convenienza tra i diversi istituti deflativi del contenzioso

In caso di lievi infedeltà o di errori di competenza , la scelta più conveniente sembra essere quella dell’ acquiescenza all’eventuale avviso di accertamento che l’Ufficio emetterà piuttosto che procedere con la regolarizzazione spontanea attraverso il ravvedimento operoso . Così come pure, in caso di violazioni della stessa indole ripetute in più periodi di imposta, la scelta più opportuna da fare sembrerebbe quella di attendere l’eventuale accertamento per poi pagare le sanzioni irrogate con riduzione a 1/3, accettando integralmente l’atto mediante acquiescenza oppure attraverso l’istituto della definizione agevolata al fine di beneficiare del cumulo giuridico e di precludere l’aumento automatico della pena da recidiva. Sono queste le principali riflessioni che emergono dall’esame delle disposizioni di riforma del sistema sanzionatorio tributario, attuate dal D.Lgs. 158/2015 e in vigore dal 1° gennaio 2016 per coloro che vogliono evitare un contenzioso e intendono definire la controversia.

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